Besciamella
Non amarmi per il gusto” – due piccoli passi – “…di qualcosa di diverso” – cambio rapido di tonalità – “ma tu credi che sia giusto stare insieme a tempo perso…”
La voce infantile intona la canzone del momento, in un duetto immaginario e, secondo la cantante, solitario nel grande salotto della casa di via Roma. Qualche passo intorno al tavolo rotondo di mogano scuro, ad accompagnare a ritmo la struggente ballata vincitrice dell’ultimo festival di Sanremo. Un amore tormentato, messo in musica da un artista cieco e da una ex corista, per l’occasione promossa a prima donna sul palco dell’Ariston, che si presta bene ai sogni ad occhi aperti di una undicenne.
“Chi canta?” grida una voce calda e scherzosa, che lascia immaginare già così, solo a sentirla, il sorriso sulle labbra. Il canto si strozza in gola e una morsa stringe forte il petto. Clara resta per qualche secondo pietrificata, mentre nella mente parte rapida una valutazione costi – benefici. Scappare, fingendo di non aver sentito, sarebbe certo la cosa migliore: per celare il rossore delle guance, per non rischiare di fare uscire un suono tremante al momento del necessario saluto. Ma sarebbe una dichiarazione eclatante (si immagina con le mani alzate in gesto di resa) della propria età, perché solo le bambine, si sa, di fronte a un imprevisto voltano le spalle correndo via. Lanciare un “ciao” là, dal centro della stanza, una mano che stringe forte la spalliera della sedia per ricevere dal legno solido un po’ di coraggio sarebbe inadeguato: chi ha parlato dal cortile non ha salutato, ma fatto una domanda.
Affacciarsi sorridente alla finestra sarebbe di sicuro la cosa migliore. Con una preparazione, certo, che aiuti a nascondere l’imbarazzo. Ma c’è il problema della felpa da bambina, rosa fucsia con una mucca antropomorfa stampata, ed è vero che è firmata dalla marca più in voga del momento, ma è anche evidente che sia stata acquistata tra i capi della linea 0 – 12. La strada però si fa chiara mentre la stessa voce di prima, ancora più dolcemente se si può, si lancia di nuovo: “Ehi, c’è nessuno? Non volevo disturbare, eh”. E non c’è quindi molto da fare se non dirigersi verso la finestra aperta, sporgersi dalla tenda di percalle bianca utilizzandola anche per nascondere la stupida stampa della felpa e dire: “Ah ciao. Stavo cantando”. “Ti ho sentito, sì, canti proprio bene”. Lele si volta, rapido chiude la catena intorno alla ruota della mountain bike arancio e con un ultimo “allora, ciao”, si dirige verso il portone.
È come se lo stomaco cicciottello di Clara si svuotasse di improvviso. Come se un mulinello risucchiasse tutte le energie per pochi attimi fino a quando, riflessa nel vetro della finestra, la bimba si vede e lo sguardo le cade sulla piccola molletta verde che aveva messo a reggere la frangia che sta facendo crescere. Il dettaglio dimenticato è il segnale che le fa ripercorrere gli ultimi tre minuti facendole valutare, nell’ordine, azioni e conseguenze: il canto a squarciagola che finge, per di più, due diverse voci; la felpa con la mucca che senza dubbio si è vista dalle trasparenze della tenda; la tenda poi, che usata in quel modo, come un drappo, avrà reso ancora più evidente l’assenza di seno sopra lo stomaco gonfio; le guance piene, che nonostante lo sforzo di autocontrollo, sono ancora, in maniera evidente, in fiamme; e, per concludere in tragedia, il terribile fermacapelli.
Non c’è altro da fare che abbandonare la stanza, testimone involontaria del fallimento, e rifugiarsi nel calore della cucina di nonna, sempre inondata di sole e del profumo dei cibi speciali che Mirella prepara. “Ciao, hai finito i compiti?”, chiede la nonna sorridendo mentre le mani tagliano veloci qualche ortaggio. “Tutto bene?”, prosegue con uno sguardo indagatore, quando legge sul viso della bimba l’emozione mista al cruccio di qualcosa di sgradevole. Clara dice che sì, ha finito e va tutto bene, quando vede sul ripiano nero lucido della dispensa un piccolo vassoio ovale coperto da due fogli di carta assorbente. L’immagine si associa al profumo che aleggia nella stanza e già una mano svelta alza la copertura e afferra una polpetta. Sono quelle piccole, leggermente schiacciate, che la nonna prepara con macinato e besciamella. Le sue preferite in assoluto!
La morbidezza del preparato, il sapore un po’ più salato di quanto sarebbe necessario, la consistenza del cibo tanto familiare sono un immediato conforto al senso di inadeguatezza e aiutano a spostare l’attenzione su altri aspetti di quel veloce incontro. Il tono dolce di voce. Lui non voleva certo prenderla in giro, anche se si è rivolto a lei come sempre: come a una bambina. La giacca di jeans, che portata con le maniche un po’ rigirate, lasciava scoperti i polsi sottili. Gli occhi miopi, strizzati anche dietro quel paio di occhiali spessi… che dovevano avere una nuova montatura, perché erano senz’altro più chiari di quelli che indossava di solito. Doveva ricordarsi di far caso al colore… forse erano sul marrone?
Lo zaino Invicta, invece, era sempre lo stesso. Peccato solo non aver potuto controllare se sulla ribalta, insieme alle solite scritte di inchiostro nero ne fosse comparsa qualcuna d’amore.
Era questo un sistema infallibile che Clara aveva escogitato per capire se il suo amato avesse una simpatia. Se si fosse fidanzato, certamente, la ragazza avrebbe preteso un cuore con il proprio nome su quella sorta di diario pubblico che anticipava i Social media o, nella peggiore delle ipotesi, un “Lele + … = per sempre” e Clara sapeva che il suo, di cuore, non avrebbe retto. Certo, restava ancora un mistero come un ragazzo tanto dolce e tanto carino non avesse stuoli di ammiratrici dietro di sé. Clara sapeva, quasi per certo, che ci dovevano essere decine di innamorate, più o meno segrete, che lui però non degnava di uno sguardo. Perché nessuna, di quelle sedicenni sguaiate, poteva essere adatta al suo cuore gentile. Nessuna delle ragazze che frequentava poteva capire la sua lungimiranza e l’intelligenza…
Dimostrata, per esempio, dalla sua scelta di girare per tutta la città in bici piuttosto che sul comodo seggiolino di un motorino Sì. Guardavano le moto, le sciocche, e non capivano che la mountain bike di Lele significava serietà, rispetto per l’ambiente e soprattutto passione per i pedali. Una passione che li univa, loro due soli, diversi dal resto del mondo, perché anche lei non avrebbe mai desiderato uno di quei buffi motorini tanto di moda adesso. (Piccoli e rapidi morsi e nelle narici il profumo della besciamella ancora calda). Ma ecco che, forse, nella sua resistenza alle spasimanti si cela un altro significato. Che la stia aspettando? Che conti i giorni che mancano perché lei diventi un po’ più grande (quale sarebbe la giusta età, considerati i sei anni di differenza?), perché con la crescita dimagrisca senza alcuno sforzo (le gambe sono snelle e quindi quei chili di troppo, per forza, dovranno sparire!), per poter dire a tutti che dal primo momento che si erano incontrati (ma quanti anni aveva lei, tre?
Che peccato non poter ricordare quel momento, ma si può sempre fingere un vago ricordo), avevano saputo che erano predestinati. (La mano deve allungarsi sempre di più sul vassoio di porcellana bianca per poter raggiungere un’altra gustosa polpettina). E pensare che in quel numero, sei anni, ci fosse la distanza perfetta tra due innamorati. Anche nonno e nonna, d’altra parte, erano divisi da sei anni di età, eppure stavano insieme da tutta la vita e ancora oggi, con quel tono scherzoso di riprendersi e battibeccare, si capiva subito che si amavano tanto. E le esperienze di vita di lui potevano fare da dolce apripista per lei, sempre così dubbiosa su cosa e come fare.
Sarebbe stato divertente salire insieme i quattro piani di scale che dividevano l’appartamento al piano terra dei nonni da quello all’ultimo piano dei genitori di lui. Perché certo sarebbero stati tutti così felici della loro storia che avrebbero voluto sempre ricevere la loro visita. Prima delle uscite da soli, si intende. (L’impasto morbido scende nella gola ed è così soffice che non serve nemmeno che la saliva lo aiuti). Certo lei non sarebbe diventata più alta di lui crescendo… Non le piacevano le coppie sbilanciate, ma lui era un metro e settanta, settantadue al massimo, una bella altezza. E se fosse stato, comunque, per amore avrebbe cambiato idea. Mica si poteva rinunciare alla felicità per qualche centimetro in meno.
“Clara!” è quasi spaventata la voce di nonna. Ma c’è anche un filo di riprovazione in quel tono lì: “Hai finito tutte le polpette!”. È improvvisa la consapevolezza del vassoio ovale quasi vuoto, della pancia che scoppia e di un residuo di sale nella bocca ormai arida. Le lacrime salgono veloci agli occhi, insieme al desiderio di essere meno sciocca e distratta e più attenta, soprattutto, a non mangiare così, ché il dimagrimento della crescita va comunque aiutato con comportamenti giusti. E veloci arrivano le braccia burrose di nonna per tirarla a sé e farle nascondere il viso stravolto dalla vergogna sul petto. Allora le parole arrivano rapide sulle labbra e il racconto dell’incontro inaspettato, il peso della brutta figura e la paura di essere stata ridicola risuona nella calda cucina. E mentre escono dalla bocca secca, attutite dalla vestaglietta nera a fiori di nonna, arriva un senso di sollievo. A pranzo mangerà solo un po’ di pasta al pomodoro. Per gli altri, come secondo, si servirà solo prosciutto nostrano tagliato al coltello. Nessuno saprà delle polpette alla besciamella finite. E dopo il pasto un bel giro in bicicletta sull’argine, pensando a Lele e cantando a squarciagola: “Dimmi perché piangi? Di felicità”.