Blastare
Dall’inglese “To blast”, alla lettera “esplodere”, “distruggere” è un verbo utilizzato nel gergo giovanile, soprattutto quello legato ai social. Si usa, ultimamente molto spesso, per descrivere l’azione di mettere a tacere, zittire, a volte in malo modo, in maniera cinica o dileggiando qualcuno, senza dare possibilità di replica.
Si “italianizza” come un verbo della prima declinazione, aggiungendo il suffisso “are”. Si “blasta”, quindi, qualcuno a cui con le proprie argomentazioni non si permette di rispondere, anche se la parola fa il suo ingresso nella lingua italiana per commentare il comportamento nei videogiochi: quando si annientano avversari o si distruggono oggetti.
Eppure, questo neologismo fino a poco tempo fa utilizzato da un gruppo di persone che condivideva la passione per il gioco virtuale, è diventato molto frequente. Lo dimostrano le conversazioni sul social media più utilizzato dagli italiani, Facebook, dove accade, non di rado, di venire a sapere che qualcuno ha “blastato” qualcun altro. Esistono pagine Facebook, poi, che hanno la parola “blastare” nel loro nome: “Enrico Mentana blasta lagggente” (sì, scritto proprio tutte queste g) è una pagina Facebook con oltre 200mila fan, ma esiste anche “Generatore di blast automatici”, con oltre 33mila follower, così come è molto attiva la community di “Roberto Burioni che blasta lagggente”, dedicata agli ormai famosi botta e risposta del medico con il “popolo del web”.
Spesso, infatti, “vittime” di questo blast sono i cosiddetti “haters”, i “leoni da tastiera”, che utilizzano i social come vero e proprio sfogatoio e che vengono presi ad esempio per mostrare a tutti la pochezza dell’informazione sui social, l’appeal dei luoghi comuni, l’ignoranza di alcuni, che invece parlano e si espongono pubblicamente. Anche al pubblico ludibrio. E se il termine “blastare”, fastidiosissimo, per chi scrive, da sentire e pronunciare, è già un neologismo di cui la nostra lingua poteva fare a meno, anche il significato profondo che porta dentro di sé non è più gradevole. Quando ci si compiace di avere “blastato” un avversario, sia essa una persona fisica o un avversario ignoto, come quelli che si nascondo dietro molti profili Facebook, si sta gioendo di aver pubblicamente umiliato, preso in giro, dimostrato l’evidente stato di inferiorità rispetto a noi.
Forse è la distanza di questa parola così forzata nella nostra lingua da farci allontanare dal suo significato vero, ma viene da chiedersi se la logica dell’ “odiatore” non sia diventata così parte integrante della nostra società e del nostro modo di essere da portarci ad essere, alla fine, allo stesso livello di chi tanto denigriamo.