Reddito
Dal dal latino reddĭtum, participio passato neutro del verbo “reddĕre”, rendere, è il sostantivo usato per indicare i proventi, l’utile che deriva dall’esercizio di un mestiere o di una professione.
Si parla di reddito per indicare un flusso di moneta, beni o servizi, ricevuto da un singolo individuo, da una collettività, da un’impresa o dall’economia nazionale nel suo complesso in un certo periodo di tempo.
La parola reddito assume significati leggermente diversi in base al contesto in cui viene utilizzata. Il “reddito in natura” è il ritorno sotto forma di beni e servizi, mentre si parla di reddito monetario se la contropartita per una prestazione è in denaro.
Reddito è sinonimo di salario o stipendio quando è il risultato del lavoro o di rendita se è il ritorno per investimenti fatti o quando è il compenso che deriva da proprietà, come il possesso di terreni o fabbricati, o da trasferimenti, per esempio le pensioni. Il redditto è profitto se riferito all’utile dell’attività imprenditoriale.
È chiaro quindi come la parola reddito indichi un ritorno economico scaturito da un impegno di qualche tipo da parte di chi ne beneficia: prestazione professionale, impegno creativo, messa a disposizione di un bene per qualcuno.
È allora corretto parlare del tanto discusso “reddito di cittadinanza”?
L’essere in possesso della cittadinanza di uno Stato può essere inteso come esercizio di una prestazione per la quale si debba essere ricompensati? O il suo esercizio non è, invece, um diritto e un dovere morale?
Viene da pensare che l’utilizzo della parola reddito sia legato all’intenzione di cambiare, attraverso il lessico, l’approccio mentale dei cittadini a questa misura. Che altro non è se non un sussidio, un aiuto dunque, da corrispondere a chi non ha guadagni dal lavoro.
Se così è potrebbe anche determinare un’altra distorsione mentale: sono cittadino e ho diritto a scegliere di non lavorare, o di farlo in nero, perché mi autorizza in qualche modo lo Stato.
Questa interpretazione è certamente esagerata e senza dubbio provocatoria. Ma con le parole non si scherza e nemmeno con la loro capacità di plasmare la percezione del mondo: ce lo insegnano la semiotica, la semiologia e la filosofia, fin dall’inizio della civiltà classica.